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Berlino contro il Muro

di Carlo Bastasin

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25 Ottobre 2009

«Compagno ministro è davvero così – scrive incredulo il luogotenente di Lipsia Manfred Hummitzsch al suo superiore il capo della Stasi Erich Mielke a inizio settembre 1989 –, Da qualsiasi situazione accidentale può scoccare una scintilla e mettere ogni cosa in moto».C'era stata una pausa di sei settimane nelle manifestazioni attorno alla Nikolaikirche concordata con il vescovo e i pastori, ma alle ore 17 del 4 settembre mille persone erano già raccolte attorno alla chiesa pronte a riprendere la protesta. Anziché spegnersi l'incendio aveva ripreso vigore. Il fuoco passava di mano in mano tra le migliaia di partecipanti ai comitati civicie nei collettivi sociali e religiosi delle grandi città, aveva ormai rinsaldato gli animi, bruciato gli argini della paura, abbattuto le casematte dell'obbedienza. A Berlino dalle cantine del Neues Forum e dai digiuni nella Chiesa di Getsemani, la protesta arrivò finalmente ad Alexanderplatz, visibile anche dalle finestre del Politburo.
Bisogna tornare a Berlino come si torna nella casa perduta, alla ricerca di un'epoca senza pari, in cui il coraggio dei giusti ha vinto per poi subito essere dimenticato. La capitale scintilla dove prima più era opaca, si agita dove era immota, gioiosa dove era muta. Nel contratto dell'Auerbachs Keller il nuovo Faust ha scambiato l'eccitazione dove prima era emozione. Dove è finito il bisogno universale di giustizia? Dove il senso di libertà che per molti berlinesi in quell'autunno dell'89 era diventata una ragione per vivere più forte della paura di morire? Che cosa è rimasto di quella stagione che ha cambiato il mondo? O anche per noi la verità è subito stata intollerabile?
Alexanderplatz mostra le foto della rivoluzione dell'89,in bianco e nero come appartenessero a una generazione diversa dalla nostra. All'improvviso da un vecchio altoparlante della Ddr esce la colonna sonora delle proteste e delle manifestazioni di allora, quel coro inconfondibile «Wir sind das Volk» come una violenta spinta all'indietro nel tempo, a quando queste strade e queste case hanno visto uomini cambiare la storia pacificamente. Ora la storia si è fatta di nuovo da parte e ha lasciato il palcoscenico alla città che non smette di divenire come diceva Brecht perché costruita su ciò che c'è di più mobile: acqua, sabbia e quella speciale brezza che sempre soffia dal Gruenewald. Come condannare la ritrovata leggerezza che l'ha fatta diventare, come dicono le guide, la più eccitante capitale del mondo occidentale?
Ciò che è rimasto del 1989 è una libertà impensabile per i cittadini di una città che fino ad allora era l'orlo del burrone su cui si affacciavano armati Est e Ovest. Democrazia contro dittatura, mercato contro pianificazione, libertà individuale contro collettivismo, o come invece si diceva a Est il «teatro del dispiegamento completo della personalità socialista contro la legge ferina dello sfruttamento imperialista». Fino ad allora era stata la capitale di un mondo in stallo già dalla prima emblematica escalation del dopoguerra, il «Blocco di Berlino», che nel 1948 chiuse l'accesso ai settori occidentali della città. Con il blocco l'Unione Sovietica rispondeva alla rottura delle conclusioni della Conferenza di Potsdam, imputata alla riforma valutaria che riguardava la sola Germania occupata dalle potenze occidentali anziché l'intero paese. Dal '49 i due stati tedeschi negarono la reciproca esistenza.
La Bundesrepublik non riconobbe la Ddr fino al 1972 con l'Ostpolitik di Willy Brandt, mentre la Ddr stabilì la capitale a Berlino Est come segno di esclusivo diritto sulla storia tedesca in attesa che esplodessero le contraddizioni interne del capitalismo.
Gli storici neo-ortodossi stanno ancora ricostruendo il significato di quel periodo. Dalla personalità politica di Stalin, probabilmente decisiva alla nascita della Guerra fredda, a quella di Mikhail Gorbaciov. Dalla dottrina-Reagan ispirata da Colin G. Gray sul riarmo estensivo in grado di mettere alle corde il sistema economico sovietico, alle conseguenze politiche dello stesso indebolimento economico: l'abbandono del controllo centralista della dottrinaBreznev con cui lo stesso Gorbaciov rafforzò il percorso interno di apertura e trasparenza, Glasnost e Perestroika, aprendo la soglia all'autodeterminazione dei paesi del blocco comunista. In mezzo alla più grande partita strategica mai combattuta sulla terra, il destino di Berlino, di per sé muta sotto il peso del suo passato nazista, era quello di restare ostaggio immobile delle tensioni dei due blocchi. Nulla poteva smuoverla, né l'ultimatum-Kruscev del 1958 che pretendeva che fosse dichiarata città libera dalla presenza militare occidentale, né i "three essentiais" con cui John F. Kennedy poneva condizioni sul diritto di permanenza degli alleati e sull'autodeterminazione dei berlinesi dell'Ovest. La tensione attorno a Berlino ancora una volta si trasformò in immobilismo e, infine, nel suo coerente perfezionamento, la più spettacolare chiusura che l'uomo abbia mai prodotto: il 13 agosto 1961 Walter Ulbricht cominciò l'edificazione della «barriera protettiva antifascista» che in pochi giorni sarebbe diventata il Muro.
Baerbel... Quella donna ispirata, dalla voce sottile, era andata via da Berlino quando il fiume del Neues Forum si era perso e con lui i suoi testimoni. «Eravamo così ossessionatidal Muro– mi raccontava – che non sapevamo guardare oltre». Ha deciso di occuparsi nell'ex Jugoslavia di chi soffriva dell'ultimo feroce spasmo del Novecento. «Nah Maenneken Hilfsbereitschaft! » («Aiutiamoci tra noi ometti!») era il motto ironico dei berlinesi di fronte alle ingiustizie troppo grandi. Credo sia fuggita senza riuscire a voltarsi indietro dopo aver visto i partiti divorare i dissidenti e il movimento dei cittadini. Poi, il vento della vita l'ha riportataa Prenzlauer Berg, il vecchio quartiere da cui partivano le proteste. È tornata in una di quelle case che chiamavamo «i porti di mare» dove si entrava in gruppo per non farsi identificare troppo facilmente dalla Stasi, dove il fumo era così denso da annebbiare i vetri. Ora le case sono state ridipinte e i segni di decadenza contro i quali si stagliava la vitalità del cambiamento sono del tutto cancellati, con stupefacente facilità. Il bell'intonaco di oggi è la tela su cui si stende un nuovo colorato conformismo. «Penso che traslocherò – spiega Baerbel Bohley – le persone dei miei tempi non ci sono più». E credo che non pensi a qualcuno in particolare.
  CONTINUA ...»

25 Ottobre 2009
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